Cava Ispica è una vallata fluviale che per 13 km incide l’altopiano ibleo, tra le città di Modica e Ispica. La vallata, immersa nella tipica vegetazione della macchia mediterranea, custodisce necropoli preistoriche, catacombe cristiane, oratori rupestri, eremi monastici e nuclei abitativi di tipologia varia. Nell’area terminale della vallata nel territorio di Ispica, a ridosso della città, numerose sono le testimonianze che attestano la presenza dell’uomo dalla preistoria sino al terremoto del 1693.
Secondo l’archeologo Biagio Pace Cava Ispica è una delle più grandi curiosità archeologiche della Sicilia per il suo aspetto pittoresco e il grande numero di escavazioni nelle pareti rocciose del suo lungo corso fin nell’altopiano di Modica. La particolare morfologia della cava, a forma di gola, il tipo di roccia, la posizione naturalmente adatta alla difesa, la prossimità del mare, hanno contribuito a rendere questo luogo uno dei maggiori insediamenti rupestri della Sicilia. Ancora oggi, nonostante diverse ricerche da parte di studiosi, soprattutto italiani, non si conosce molto sulla Cava Ispica. Più recentemente, Giovanni Modica afferma che “la spesa per condurre a termine un’impresa di questo genere [e cioè una esplorazione scientifica del sito archeologico] è tale da non farla prendere neppure in considerazione”.
Infatti il sito non è mai stato studiato conducendo una regolare campagna di scavi ed ancora oggi ci si deve accontentare di ricerche parziali. La mancanza di attendibili dati, riferibili cronologicamente a varie età protostoriche e storiche, non consente di precisare l’epoca in cui nella Cava Ispica si stabilì il primo insediamento umano.
Sicuramente il sito costituiva il luogo ideale per una popolazione primitiva per la quale era necessario difendersi dagli animali e dai nemici.
Numerosi reperti preistorici provenienti da Cava Ispica sono conservati nel Museo Archeologico “P.Orsi” di Siracusa, nel Museo archeologico di Ragusa e nel Museo civico di Modica; essi documentano una vera e propria stazione protostorica a Cava Ispica. Vi si conservano lame ed accette di selce, coltelli di ossidiana, vasi di terracotta e altri reperti.
Difese naturali erano la vegetazione folta e fitta e il fiume che scorreva in fondo alla valle, guadabile in pochi punti e che divideva la Cava in due parti. Esisteva poi uno sbarramento naturale costituito da un enorme blocco di roccia che chiudeva il passaggio in direzione di Ispica, l’attuale cittadina a Sud della Cava. Successivamente gli abitanti aggiunsero delle vere e proprie opere di fortificazione descritte come una “muraglia megalitica”. Questa zona viene indicata infatti con il nome di “Barriera”. Pace afferma che le grotte della Cava Ispica sono da distribuire lungo un paio di millenni, anche se sono state “già tutte fantasiosamente attribuite a genti ed età antichissime”. Le più antiche sarebbero da attribuire ai Sicani, qui vissuti per molti secoli, attardati, perché isolati, nelle loro forme tradizionali anche durante l’età classica. Ma la maggior parte sono invece catacombe del primo cristianesimo, quali la “Grotta della Larderia”, abitazioni rupestri, santuari (Santa Maria e San Pancrati), successivi il VI secolo d.C.
I Siculi, invasa la Sicilia, si impadronirono degli insediamenti sicani della Cava Ispica e ne fondarono di nuovi formando nuovamente delle comunità che permasero fino al terremoto del 1693. Apparterrebbero a questo periodo le tombe a forno di “Scalaricotta”. Altri insediamenti imponenti dei Siculi furono le grotte vicine al Castello Sicano, la Capraria e i complessi abitativi di fronte al “Lavinaro”, composti da centinaia e centinaia di grotte a più piani intercomunicanti. Con l’arrivo dei Greci alcune città furono conquistate, altre invece, tra cui Cava Ispica, rimasero indipendenti mantenendo comunque rapporti anche commerciali; fu lo stesso con i Romani di cui è rimasta ben poca traccia, coperta dalla successiva presenza bizantina. Per sottrarsi alle persecuzioni, le popolazioni cristiane del luogo si rifugiarono nelle grotte della Cava dove scavarono piccoli luoghi di culto o riadattarono a tale scopo ambienti già esistenti, decorandoli con immagini sacre. Ne sono dimostrazione la chiesa rupestre di Santa Maria, la grotta di Sant’ Ilarione, la grotta “dei Santi”, la chiesa rupestre di S. Nicola e poi le catacombe come la “Larderia”, “U Campusantu”, la “Spezieria”.
Dopo il tremendo terremoto del 1693 parte della popolazione si trasferì dalla vecchia Spaccaforno nella nuova città, in seguito denominata (dal 1935) Ispica, e per la Cava iniziò un lungo periodo di abbandono.
Nella parte Nord della Cava, con pareti rocciose più adatte all’insediamento umano, più numerose sono le tracce di abitazioni, le grotte (abitate dall’VIII secolo a.C. agli inizi del XX), le necropoli. Nella parte Sud prevalgono le postazioni difensive come il “Fortilitium”, roccaforte naturale costituita da una massa rocciosa di calcare dure (che ha resistito, proprio perché duro, all’erosione delle acque del torrente), in forte rilievo in mezzo all’alveo della Cava, chiamata “Forza”, che esercitava una vera e propria funzione di sbarramento e di difesa dell’ingresso della Cava.
La denominazione “Cava Ispica” precede quella relativa alla città omonima, la quale si chiamò Spaccaforno fino al 1936. La città di Ispica, infatti, nella parlata locale è ancora oggi comunemente conosciuta come “Spaccafunnu”. Questo termine appare in una bolla papale del 1093 e in un’altra del 1168, sotto il pontificato di Alessandro III, nella quale si assegnavano al vescovo di Siracusa le chiese di Spaccaforno. L’antico nome latino fu per molti secoli “Ispicae fundus”, cioè il sito del territorio di Ispica che si trova nella parte più bassa, “fundus” della suddetta Cava. L’etimo Ispica, nell’uso comune, è stato ed è tuttora preceduto dal prefisso “cava” (valle, secondo la parlata locale), e si è sempre parlato in dialetto di “Cavarispica” (Cava d’Ispica) o Cava Ispica. Di per sé “Ispica” viene sciolto con la locuzione greca “éis pegàs”, cioè “verso le sorgenti”, ad indicare il corso del torrente Pernamazzoni/Busaitone.
La cava, che in alcuni punti è profonda circa cento metri e larga più di mezzo chilometro, è solcata da un torrente che ha nome Pernamazzone nel corso superiore e dal Busaitone nel corso inferiore. La presenza dei corsi d’acqua ha fatto sì che nel luogo si sviluppasse una vegetazione rigogliosa, motivo d’attrazione per varie specie di uccelli ed altre specie animali, tali da rendere questo luogo un sito di singolare bellezza paesaggistica. La flora esistente nella Cava è costituita dalle specie proprie della macchia mediterranea come il leccio, l’euforbia arborea, il carrubo, la palma nana, l’olivo selvatico, l’olivastro, il platano ed altre; anche il sottobosco presenta diverse varietà: felce maschio, ciclamino di terra, acetosella, borragine, nepitella, ampelodesma, asparago, edera, salvia, ecc.
Nel tempo in cui era abitata, la Cava mostrava anche la presenza di varie colture che dopo il terremoto del 1693 furono abbandonate e non più rinnovate. Pochi secoli dopo vennero riprese e la Cava ridivenne un vero giardino, dove erano coltivati alberi da frutta, nespole, albicocche, uva da tavola, cachi, noci, noccioline, pistacchio, melograni, ecc. La fauna è meno varia e numerosa di un tempo; vi hanno trovato il loro “habitat”: il coniglio selvatico, la volpe, l’istrice, il riccio, il colombaccio, il gufo reale e rettili vari, come il saettone e il biacco. La roccia dell’altopiano ibleo è essenzialmente di natura calcarea ed è perciò che i vari corsi d’acqua, nel tempo, hanno scavato valli più o meno profonde, alcune anche con pareti ripide, che sono chiamate “Cave” formando un’intricata rete attraverso la quale scorre a mare l’acqua torrenziale.
Fonte: Wikipedia.
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